Anche per la stagione 1970/71 la tonalità cromatica tradizionale del celeste è sostituita dall’azzurro tendente al blu. Diverse sono le divise utilizzate dalla Lazio in questo campionato (ricordiamo anche le mute azzurre firmate dalla Umbro), ma quella maggiormente indossata è simile a quella della precedente annata: di colore azzurro scuro con ampio colletto e polsini bianchi (utilizzata con i laccetti anche dalla formazione della De Martino). I numeri delle divise da campo si presentavano in feltro (o pannolenci) dalla forma particolarmente allungata e tondeggiante. Questo tipo di casacca fu realizzato dalla Venjulia, un maglificio di Trieste che si occupava di vestire diverse Nazionali italiane tra le quali quelle di calcio, atletica leggera, basket e sci (erano i tempi della “valanga azzurra”).
Le maglie e le tute della Venjulia sono state indossate anche dal campione olimpico dei 200 metri nel 1960 a Roma, il leggendario Livio Berruti. Una storia triestina, iniziata nell’immediato dopoguerra da tre ragazzi che amavano lo sport e avevano fantasia e capacità da vendere. «Abbiamo fornito le casacche e le tute per gli atleti italiani che nel 1948 hanno partecipato alle Olimpiadi di Londra. È stato il nostro esordio» ricorda con tenerezza e nostalgia Livio Fabiani fondatore del maglificio Venjulia con suo cugino Giorgio Oberweger, olimpionico nel lancio del disco e poi per 25 anni commissario tecnico della nazionale di atletica leggera. Il terzo socio era un certo Ottavio Missoni, splendido ostacolista sui 400 metri e poi osannato stilista. «Ottavio ci ha lasciati quando si è trasferito a Gallarate per sposarsi. Dopo un po’ ci ha invitato a seguirlo, dicendo che lì avremmo fatto fortuna. Non ho accolto il suo consiglio, perché amo il mare azzurro di queste terre. Nella nebbia non mi ci trovo e in qualche modo Missoni mi dà ragione. Appena può corre qui, in riva all’Adriatico». Tra i ricordi del Venjulia da incorniciare c’è l’invenzione del pantone azzurro cosiddetto “Olimpic”, quello che compare sulle attuali maglie delle nazionali italiane. Il precedente “azzurro” era molto meno intenso. «Un celestino chiaro che dopo lavato diventava grigiastro» racconta Livio Fabiani. «La seconda invenzione è stata quella di costruire un nuovo filato di lana all’interno del quale era inserito un fiocco di nylon. Rendeva le tute elastiche, attillate, confortevoli, stabilissime nel colore. È stata la nostra fortuna. All’epoca la manodopera costava poco, il materiale tantissimo». Sembrerebbe proprio l’azzurro “Olimpic” a comparire sulle divise della Lazio nelle stagioni 1969/70 e 1970/71. Dai racconti di Angelo Torda il prezioso factotum della Lazio di Lenzini e titolare della ditta “Tuttosport articoli sportivi” si occupò di fornire le divise al primo club capitolino. Ci siamo chiesti come mai la Lazio a cavallo degli anni 60/70 utilizzò una colorazione azzurro scura invece del celeste tradizione. Difficile dare una risposta. Chiedendo agli eredi di Angelo Torda ci è stato risposto che probabilmente il maglificio Venjulia, presso il quale la Tuttosport commissionò le maglie della Lazio, lavorava prevalentemente con i tessuti di colore azzurro “Olimpic” utilizzati per tutte le divise degli atleti e delle squadre nelle varie discipline sportive in cui gareggiava l’Italia. E forse quel tipo di colorazione della Nazionale italiana venne predisposto anche per le casacche della Lazio delle stagioni 1969/70 e 1970/71 per questioni di praticità. Il “Lazio Museum” presenta il suo ultimo gioiello in collezione: è proprio la maglia prodotta dalla Venjulia, ma firmata internamente con l’etichetta Tuttosport, finita nelle mani di Giorgio Chinaglia. Puntualizziamo che per la maglia presentata non abbiamo ancora riscontri di attendibilità su partite ufficiali per le quali venne utilizzata, per cui non attribuiamo affatto il carattere di maglia da campo indossata, ma la trattiamo come una testimonianza, perché questa casacca ha un’anima che lega una famiglia di grandi laziali con Giorgio Chinaglia e che andiamo a riportare: “Il Dott. Ettore Carella (12/12/1926 – 18/05/1992) era il nostro papà. È stato un medico chirurgo et medico sportivo appartenente alla Federazione Medico Sportiva Italiana sin dagli Anni ’70. Per mio padre più che un lavoro era una passione, visto il suo amore per le discipline sportive, tra cui il calcio e soprattutto un’occasione per seguire da vicino la sua Lazio alla quale ha dedicato gran parte delle sue domeniche svolgendo servizio medico sportivo allo stadio Olimpico. Che momenti indimenticabili, a tifare la sua Lazio ed aspettare ore ed ore gli atleti nel dopo partita per prelevare il campione personale delle loro urine. A volte il tempo non passava mai per lui, rimaneva li ma era felice perché era accanto ai suoi idoli, Chinaglia, Re Cecconi, Pulici e Wilson e via via tutti gli altri. Un giorno papa chiese a Long John la sua maglia. È quella che vedete esposta. Pensate che ci teneva così tanto che non è stata mai lavata. L’ha lasciata piegata in un cassetto e custodita per quasi mezzo secolo dai suoi due figli. E noi siamo qui a raccontarla e a farne rivivere i fasti”. Raccontato dai figli di Ettore: David ed Alessandro Carella. di Emiliano Foglia
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