Stadio Olimpico (1953)

Stadio Olimpico (1953)

Dal 1953, la Lazio utilizza lo Stadio Olimpico, il cui primo nucleo in verità fu costruito già negli anni Trenta dopo che fu bonificata l’area posta ai piedi della collina di Monte Mario, tra il Tevere, Piazzale Milvio e Viale Angelico, nella zona nord-ovest della città, circa tre chilometri a nord del Vaticano e a non più di 1.500 me­tri dagli spalti del Flaminio. L’impianto sor­ge al centro del celebre Foro Mussolini, un complesso sportivo progettato con numero­se varianti dall’architetto Enrico Del Deb­bio nel 1928 e fortemente voluto dal Duce che intendeva così rafforzare l’immagine di Roma anche sul piano sportivo. Il Foro, una vera e propria città dello sport, nacque per iniziativa dell’Opera Nazionale Balilla come ampliamento dell’iniziale progetto di realiz­zazione dell’Accademia Fascista di Educazio­ne Fisica, i cui lavori ebbero inizio a partire dal campo per le esercitazioni il 5 febbraio 1928, eseguiti dall’impresa di costruzioni di Luigi Speroni. Come detto, Del Debbio ela­borò diverse soluzioni architettoniche per Il magnifico profilo dello Stadio Olimpico negli anni sessanta. Lo stadio, i cui lavori ebbero inizio a partire dal 1932, fu inizialmente co­nosciuto come Stadio dei Cipressi e poteva ospitare nella prima fase non più di 10.000 spettatori sulle gradinate in travertino. Fu concepito in origine come un ampio inva­so verde a somiglianza di Piazza di Siena e venne destinato principalmente all’atletica ed alle gare ginniche. Il progetto originario, poi modificato, rimandato e quindi definiti­vamente abbandonato in seguito allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, prevedeva tuttavia il completamento della struttura con la costruzione di altri tre ampi ordini di gradi­nate sul fianco di Monte Mario che avrebbe­ro sensibilmente aumentato la capacità com­plessiva dell’impianto fino a 100.000 posti. In sostanza un ovoide asimmetrico sul lato maggiore il cui numero minore di gradinate sul lato a valle avrebbe permesso una magni­fica visuale sul Foro e sulle colline di Villa Madama rispettando peraltro le contenute proporzioni e l’armonia dell’adiacente Stadio dei Marmi. Tuttavia a progredire furono solo le numerose costruzioni ed attrezzature spor­tive che completavano il progetto del Foro Mussolini, mentre cominciò ad attenuarsi l’interesse riguardo allo Stadio dei Cipressi, posto in ombra dalle problematiche legate al ruolo ed alla connotazione dell’intero com­plesso sportivo nell’ambito del territorio ur­bano. Nel Dopoguerra ad occuparsi del re­cupero e del completamento delle gradinate dello Stadio dei Cipressi fu il CONI. La de­signazione olimpica di Roma nel 1951 svolse indubbiamente un ruolo preminente nella decisione di dare inizio quanto prima ai lavo­ri di completamento del vecchio Stadio dei Cipressi (nel frattempo rinominato Stadio Olimpico) dei quali fu incaricato l’ingegne­re Roccatelli che si avvalse della consulenza dell’ingegnere Cesare Valle. Ad ultimare i la­vori fu però l’architetto Annibale Vitellozzi, subentrato a Roccatelli nel frattempo venuto a mancare, occupandosi dello sviluppo archi­tettonico della struttura (esternamente risolto con una finestratura perimetrale), della siste­mazione dei locali interni (tra cui meritano una menzione il salone d’onore e l’ingresso al palco presidenziale) e della realizzazione delle 42 postazioni radio tv composte da una pensilina in ferro ed alluminio inserita come coronamento terminale sul lato ovest, l’attua­le Tribuna Monte Mario. Una volta ultimata nel 1953, l’arena dell’Olimpico consisteva di una struttura ovale in cemento armato rive­stito di travertino priva di copertura, salvo che per 294 dei 572 posti riservati alla stam­pa situati al di sotto della pensilina stessa. Lo stadio risultava infossato di 4,5 metri nel terreno, non di più per via della vicinanza del Tevere, ed articolato su un unico livello di spalti in grado di accogliere sui sedili in legno 84.000 spettatori (100.000 in super capienza), poi ridotti a 54.000 posti a sedere (di cui 3.000 per la stampa) in occasione dei Giochi Olimpici nel 1960. L’armoniosa solu­zione architettonica eseguita da Vitellozzi si poté dire senz’altro riuscita nonostante le cor­pose dimensioni dell’impianto (il perimetro misurava 800 metri, 319 l’asse longitudinale, 186 quello trasversale), ma andò in qualche misura perso l’iniziale intento di integrare lo stadio con il dolce versante alberato della collina di Monte Mario a causa soprattutto delle modifiche introdotte in ottemperanza alle nuove e più severe norme sportive inter­nazionali in tema di sicurezza. Le due curve erano posizionate assai distanti dal rettan­golo di gioco e la visuale evidentemente ne risentiva non poco nonostante fossero stati preventivamente effettuati accurati studi di visibilità. La prima fila era ad oltre cinquanta metri dalla linea di fondo, così che la porta più lontana distava quasi duecento metri da­gli spettatori più lontani. Le gradinate degli spalti si sviluppavano per un totale di 24 Km e rima­nevano separate dal terre­no di gioco e dalla pista di atletica mediante un fossa­to profondo e largo 2 me­tri. L’enorme distanza che separava i due settori di curva non bastò, purtrop­po, ad evitare anni dopo la sconcertante uccisione di Vincenzo Paparelli, colpito da un razzo spara­to dalla curva romanista durante il derby d’andata nel 1979. L’Olimpico fu ufficialmente inaugurato di fronte ad oltre 80.000 persone il 17 maggio 1953 con una prestigio­sa gara degli Azzurri contro l’allora fortissi­ma Ungheria di Puskas e Hidegkuti, autori di tutte le reti nel pesante 3 a 0 finale. In occa­sione della manifestazione di “Italia 90”, prima di propendere per l’ammodernamento delle strutture sportive esistenti fu a lungo prospet­tata l’eventualità di costruire un impianto ex novo altrove. Per diverso tempo, infatti, ci si interrogò riguardo all’opportunità di operare su una struttura nata come connubio irripe­tibile tra il Tevere e le pendici di Villa Ma­dama, la cui suggestiva bellezza era sicura­mente stata una delle principali motivazioni determinanti nella scelta dell’ubicazione del Foro, sessant’anni prima. In particolare lo studio Gregotti Associati progettò uno stadio da 100.000 posti nell’area della Magliana, ap­pena fuori del Grande Raccordo Anulare in direzione del mare. La proposta venne scar­tata ed il conseguente concorso di appalto per la ristrutturazione dello Stadio Olimpico fu vinto dal progetto redatto dagli architetti Clerici e Vitellozzi assieme agli ingegneri Te­resi e Michetti. Tale progetto fu peraltro ampiamente modi­ficato in corso d’opera, sia per ridurre l’im­patto visivo dei previsti otto piloni di soste­gno della copertura, sia per le problematiche condizioni della Tribuna Monte Mario, la cui demolizione non era in origine prevista. L’ammodernamento dello stadio del resto dovette inevitabilmente tenere conto anche della necessità di adeguare l’impianto al ca­rattere dell’imminente manifestazione, forte­mente improntata ad un’ampia partecipazio­ne dei media con relative esigenze di precipue strutture e spazi organizzativi. L’obiettivo di ottenere una capacità di 85.000 posti a sede­re, numerati e coperti, fu comunque raggiun­to attraverso la ricostruzione totale degli spalti ad ecce­zione della Tribuna Tevere che attualmente possiede 17.965 posti (130 riservati ai disabili) dopo l’aggiunta di 20 gradoni in alluminio che hanno permesso di arrivare all’altezza delle curve, en­trambe ridotte di concavità ed avvicinate al terreno di gioco di nove metri. Oggi, ciascun settore di curva può accogliere 23.473 spettatori ed è provvisto di un maxi-schermo e montato poco sotto la sommità degli spalti. Internamente sono presenti quattro palestre, magazzini, servizi e bar. La nuova Tri­buna Monte Mario dispone invece di 17.745 posti ed è provvista di sala d’onore (cui non è possibile accedere indossando la sciarpa del proprio club), sala stampa e un parcheggio ricavato nel piano interrato. La ristrutturazione dello Stadio Olimpico fu completata dalla realizzazione della coper­tura totale degli spalti, progettata dagli inge­gneri Majowiecki e Caloisi, un’unica tensostruttura composta da pannelli translu­cidi in teflon disposti su due anelli e poggian­te su sedici pilastri, dodici in acciaio e quattro in calcestruzzo, costruiti esternamente allo stadio. di Sandro Solinas

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