La maglia della Lazio probabilmente trasmette qualcosa di eternamente magico ad ogni giocatore che ha la fortuna di indossarla anche solo per pochi incontri. La nostra storia è pregna di giocatori provenienti da ogni parte d’Italia che, una volta indossata la casacca biancoceleste (o biancazzurra a dir si voglia) ne rimangono fedeli per sempre, rinunciando in molti casi ad accasarsi in altre squadre più blasonate o addirittura preferendo chiudere con il calcio giocato piuttosto che vestire una divisa diversa da quella del primo Club della Capitale: Bob Lovati rimase fedele ai nostri colori ricoprendo qualunque incarico societario gli venisse commissionato, e rimanendo in prima linea anche in momenti difficili e stagioni a dir poco burrascose. Uber Gradella preferì smettere definitivamente con il football piuttosto che indossare una maglia diversa a quella della Lazio ed addirittura il suo amico Silvio Piola, pur arrivato alla Lazio non per sua specifica volontà, ma i dimenticò gli anni passati a Roma, tornando come ospite tantissime volte, ospite addirittura dei Lazio Club. La liste dei laziali fedeli all’aquila potrebbe continuare e forse meriterebbe un capitolo a parte più approfondito, tuttavia questa premessa era necessaria per presentare una delle leggende laziali: Ezio Sclavi, storico portiere degli Anni ’30, che dopo aver difeso con sudore ardore e professionalità la porta biancoceleste per dieci lunghi anni, a causa di un doppio grave infortunio al menisco, venne ritenuto ormai non idoneo all’attività agonistica ed in maniera troppo ingrata e frettolosa venne allontanato dalla prima squadra. Dopo un lungo, in perfetta integrità fisica, il nostro eroe decise di chiudere con il calcio, non essendo intenzionato a vestire un’altra divisa che non fosse a quella biancoceleste e partì volontario per la guerra in Africa orientale. Proprio in terra africana, Scalvi divenne addirittura allenatore, vincendo ben tre campionati amatoriali in terra etiope. Ezio Sclavi è stato un eroe di altri tempi che, purtroppo molti giovani tifosi non conoscono: leale, caparbio e determinato era attaccato alla maglia come pochi: durante una partita contro l’Alessandria, nel lontano 1931, scontrandosi con un avversario svenne per qualche minuto, ma subito dopo insistette per rientrare in campo; dopo pochi minuti fu vittima di un altro scontro di gioco, ricevendo un duro calcio sul volto, che gli provocò una sanguinosa ferita. Vista l’incertezza e la fasciatura l’incontro terminò con una sofferta e leggendaria vittoria laziale. I dirigenti dell’epoca al termine della gara, rimasero colpiti da attaccamento alla maglia e spirito di sacrificio e decisero di premiarlo donando una medaglia d’oro, a colui che per tutti gli spettatori biancocelesti della partita era del giorno. Sanguigno, tenace, dotato di un’esplosività e reattiva tra i pali fuori dal comune, doti assai rare nei portieri d’inizio secolo. Sclavi era famoso per le sue prese aeree in area di rigore pur non essendo un gigante. In quegli anni il club iniziava a pensare di valorizzare la maglia dei giocatori con il simbolo della Lazio: l’aquila. Il primo di questi fu proprio Ezio Sclavi che, a differenza dei suoi compagni di squadra, pensò bene di cucire sulla propria casacca (pesantissima), lo stemma di un’aquila imperiale. Fuori dal campo, come ogni campione che si rispetti, Sclavi era il punto di riferimento dei giovani aquilotti e molte foto dell’epoca lo ritraggono in compagnia dei piccoli colleghi ai quali non risparmiava critiche e soprattutto consigli costruttivi come ci ricorda il giocatore Aldo De Pierro che ebbe Sclavi come allenatore quando militava nelle squadre minori. Ezio Sclavi era amato e rispettato dentro e fuori del campo anche da colleghi illustro come l’interista Meazza con il quale il nostro portiere era solito conservare amichevolmente prima di ogni partita. Come già raccontato una volta messo alla porta dai dirigenti dell’epoca, a causa del doppio infortunio, preferì smettere con il calcio e si arruolò partendo per l’Africa orientale, dove venne fatto addirittura prigioniero dai combattenti africani. Dopo tredici lunghi anni passati in terra africana, Sclavi fece ritorno in Italia e si trasferì in Liguria, dedicandosi praticamente fino alla fine dei suoi giorni alla pittura, riscuotendo anche in questo campo artistico un ottimo successo e tornando nella sua amata Roma, come espositore in importanti mostre organizzate nel tempio della pittura romana: Via Margutta. Da ex calciatore dedicò alcuni quadri al mondo del calcio: tra le sue opere «Il giocatore», «I compagni» e «Il calciatore ferito», proprio quest’ultimo venne presentato alla Mostra dell’Arte Sportiva di Firenze del 1933. Un articolo di giornale di quel periodo recitava così : “L’arte può entrare nel movimento sportivo sotto diverse forme, ma soprattutto essa si può giovare dello sport per trarre da questo un’ispirazione di bellezza e di realtà quale difficilmente si riesce a trovare nella vita”.
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