Per la festa del “Centenario” della S.S. Lazio (gennaio 2000), partecipai ad un evento organizzato nel centro sportivo di Formello. Molte erano le attenzioni rivolte agli ex giocatori biancocelesti, alcune anche a me, ma faticavo a rispondere alle domande dei giornalisti lì presenti, perché avvertivo un richiamo esterno. Ad un certo momento chiamai mio figlio Massimo e gli dissi: “andiamo a fare una passeggiata nei campi da gioco?”. Passeggiavamo accanto, poi mi rivolsi a lui e dissi: “ Lo senti questo odore di erba? Ecco, io sto bene qui…”. Alla mia età l’amore per i colori biancocelesti è rimasto immutato come il primo giorno in cui misi piede nella sede della Lazio. Venivo dal Verona in serie B e non avevo ancora compiuto 19 anni. Me ne stavo da una parte ad osservare il grande Piola, che dopo poco si avvicinò e mi disse: “Uber, devi stare insieme a tutti noi, ora indossi questa maglia e qui siamo tutti uguali”. A chi mi chiedesse negli anni quale maglia ai miei tempi indossassi e come fossero fatte, ho sempre risposto che erano realizzate in lana. Anche nella stagione estiva erano pesanti, benché si adoperasse una grammatura più leggera. Alla Lazio indossavo una maglia di colore grigio chiaro in primavera-estate e nera in inverno. Anche per scaramanzia devo ammettere, ritenevo che queste due colorazioni confondessero gli avversari. Le casacche azzurre da portiere indossate nell’allora Under 21 ed in due raduni con la nazionale maggiore si presentavano esclusivamente di colore bianco o nero. Le maglie della Lazio in dotazione per singolo atleta non superavano mai le quattro per stagione ed era necessario un bel lavoro di “mantenimento e pulizia” da parte della signora Amelia, collaboratrice della Lazio. A soli 28 anni a causa di ripetuti infortuni dovetti interrompere la mia carriera sportiva a causa di seri infortuni. Decisi così di rimanere nel mondo dello sport aprendo un negozio di abbigliamento ed attrezzature sportive. Un marchio sportivo ben presto conosciuto: la “Gradella Sport”. Le divise della Lazio ogni giorno si presentavano ai miei occhi, perché ne sono stato il fornitore “tecnico” fino alla fine degli anni sessanta. La maglia è il simbolo di appartenenza, è un vincolo di responsabilità, forse l’unico oggetto che ti permette in democrazia di schierarti. di Uber Gradella (Maggio 2013)
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