Felice Pulici, classe 1945, sbarca nella Capitale su richiesta del tecnico Maestrelli nella stagione 1972/73, reduce da quattro campionati disputati con la maglia del Novara in Serie B e C e che, nonostante sia esordiente nella massima serie, gli affida la casacca di estremo difensore titolare della Lazio. E la fiducia del tecnico viene puntualmente premiata: il primo anno Pulici risulta il portiere meno battuto dell’intero campionato, il secondo anno conquista addirittura il titolo di Campione d’Italia. Per Pulici quel fatidico 12 maggio del 1974 rappresentò la data di una doppia emozione: mentre la Lazio conquistava la certezza matematica di essere Campione d’Italia, lui a fine partita, con i festeggiamenti in atto, riceveva la notizia della nascita del figlio Gabriele. “Credo (raccontava Felice) di essere stato molto abile a riuscire a scindere questi due diversi momenti e riunirli poi in seguito per quello che fu una gioia indescrivibile. Riuscii a lasciare fuori dal campo quello che era il mio personale momento familiare. Quello di sicuro era un momento molto bello ma per me era necessario pensare prima all’altro traguardo, e cioè alla gara che in ordine cronologico era precedente. La giornata del 12 maggio era iniziata in maniera particolare per me. Mia moglie stava per partorire proprio in quelle ore… Per tutta la domenica mattina avevo cercato di mettermi in contatto con la mia famiglia per avere notizie sul parto. Telefonai a casa, nessuno mi rispondeva ( i cellulari non esistevano ndr) e nessuno era in casa. Avvertivo che Gabriele stava per nascere, a pochi minuti da Lazio-Foggia. Appena entrammo in campo dissi a Pino di scegliere al sorteggio palla o campo la porta sotto la Curva Nord, cosi avrei giocato la seconda frazione sotto la Sud, dove allora era posizionato il tunnel, impiegando così meno tempo ad abbandonare lo stadio. Pino perse il sorteggio ed il capitano del Foggia indicò la porta sotto la Nord per giocare la prima frazione li, così al termine della partita dovetti impiegare più tempo ad abbandonare il terreno di campo, per l’invasione di campo dei nostri tifosi. Negli spogliatoi mi dissero che mio figlio era nato. Avevamo conquistato lo scudetto, ma non avevo modo di poterlo festeggiarlo con i miei compagni. Dovevo correre a prendere l’aereo e catapultarmi a Milano a vedere Gabriele. Mi feci al volo la doccia e mentre mi rivestivo mi accorsi che le mie scarpe non c’erano più. Le avevano messe addosso a Luigi Martini che si era infortunato in partita alla scapola e l’avevano portato al San Giacomo. Corsi in ospedale in ciabatte, un saluto veloce a Gigi e ripresi le mie scarpe, pronto per partire direzione Milano. Scudetto e Gabriele, appena arrivato feci vedere la maglia Campione d’Italia a mia moglie, che nemmeno se ne accorse. Ero travolto dalla gioia stavo ammirando Gabriele da papà neo scudettato. La casacca della Lazio per me non era quella bella dai colori biancocelesti come quella dei miei compagni, la mia era nera, ovviamente da portiere”. La storia della mia maglia di Lazio Foggia è molto particolare.“Per tanti anni (spiegava Felice) di quella maglia leggendaria non ebbi più notizie, era sparita. Persi ogni speranza di recuperala, la cercavo ovunque. Qualche anno fa venne a mancare mio suocero e nei giorni successivi alla sua morte mia moglie cominciò a riordinare la sua stanza che gli avevamo sistemato da una decina di anni, a casa nostra. Mia moglie mi chiamò e mi disse…Felice guarda un po’ cosa è uscito fuori? La tua maglia della Lazio…”. L’aveva tenuta con se da sempre mio suocero come una preziosa reliquia, probabilmente l’aveva presa lui in ospedale quel 12 maggio 1974. “Volevo però avere la certezza (puntualizzava Pulici) dopo oltre 30 anni che fosse proprio quella di Lazio-Foggia e confrontandola con una delle foto del giorno dello scudetto mentre Maestrelli mi abbracciava, notai il segno della calce delle linee del campo e che sono ancora presenti sulla casacca, oramai indelebile nonostante qualche lavaggio”. La maglia è in lanetta (la stessa di quella utilizzata dalla squadra ma con il collo alto tipo dolcevita. Il numero 1 in plastichina leggera venne cucito a macchina dalla “sora Gina” sulla divisa. All’interno del collo è presente l’etichetta dell’allora fornitore tecnico sportivo la Tuttosport.
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